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Riflessione sulle Letture Festive

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

1 Agosto 2010 - XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Pubblicato: lunedì 19 luglio 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

 

La Parola di Dio di questa XVIII Domenica del TO ci invita a riflettere sulla precarietà dell’esistenza umana ed impegnarci a vivere in questo mondo con lo sguardo rivolto verso l’eternità,  per recuperare quella sapienza che viene dal Cielo e da Dio e che abbiamo quasi completamente dimenticato nel nostro agire quotidiano.

La prima lettura tratta dal libro del Qoelet, ci parla della vanità di ogni cosa umana e terrena, ovvero della precarietà dell’esistenza umana e dei beni materiali.

La seconda lettura,  tratta dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Colossesi, è un invito esplicito a liberarci dalle cose che passano, dagli attaccamenti morbosi a persone e beni di questo mondo: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra”. San Paolo parla chiaramente del destino eterno dell’uomo e di come agire in questo mondo, liberandoci da tante forme di schiavitù: mania di successo, di piacere, di benessere, delle cose che contano solo su questa terra e per le quali si lotta, si fa guerra, si distruggono gli altri, ci si affanna nell’illusione che possano darci la felicità. È, purtroppo, la tragica fotografia di questo tempo, dove le denunce fatte da San Paolo nella lettera ai Colossesi sembrano dirette ai tanti nostri modi di pensare, esprimersi e vivere.

Ma è, soprattutto, il brano evangelico che ci spinge a valutare attentamente i beni della terra nella continua ricerca dei beni del cielo, ricordandoci che siamo pellegrini su questa terra in cammino verso l’eternità.

All’origine dell’insegnamento di questo brano di Vangelo c’è una disputa per una eredità tra due fratelli: uno dei due si rivolge a Gesù nella speranza di ottenere giustizia, ma Gesù, come spesso fa, risponde con una domanda: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”. Già qui, ancora prima della parabola che racconterà fra poco, c’è un elemento che va al di là del problema particolare dell’eredità, e anche dell’attaccamento ai beni materiali: a volte Dio non risponde alle nostre domande semplicemente perché sono poste male ma perché partono da una prospettiva nella quale Dio non vuole lasciarsi rinchiudere, partono da premesse che sono già sbagliate. Chi gli aveva chiesto di risolvere un problema non si accorgeva che a monte c’era qualcosa di ben più importante: l’attaccamento ai beni materiali. Non sappiamo come avrà reagito alla risposta di Gesù: se ne è andato deluso, pensando che a Gesù non interessasse niente dei suoi problemi e della giustizia; oppure ha seguito Gesù nel suo ragionamento, si è lasciato guidare verso una nuova prospettiva, ha capito che dentro il rifiuto di Gesù c’era un dono ancora più grande, ha capito che occorreva andare alla radice del problema: l’egoismo. Nemmeno Gesù poteva riuscire a mettere d’accordo i due fratelli se restavano prigionieri del loro egoismo. Liberati dall’egoismo, i due fratelli non avrebbero più avuto bisogno di Gesù per spartire l’eredità, avrebbero trovato un accordo.

La parabola raccontata da Gesù, piena di meschino egoismo e priva di ogni accenno alla solidarietà, ha lo scopo di mettere a fuoco, dentro ognuno di noi, il difficile tema del rapporto con i beni della terra.

Non possiamo fondare la nostra vita sull’accumulare beni e tesori materiali, dimenticandoci che quello che mettiamo da parte, spesso senza fare del bene agli altri, non ce lo porteremo all’altro mondo, ma lo lasceremo.

Questa parabola ci dice la necessità di essere più distaccati dal possedere e dall’accumulare per essere, invece, più generosi ed altruisti nella vita di tutti i giorni specie se siamo nelle condizioni materiali ed economiche di poter dare e dare con una certa abbondanza.

Questo non significa che Gesù disprezza i beni della terra o che contesta le gioie della vita come se volesse farci distaccare dalla vita stessa; il Vangelo dà per scontato che la vita umana sia, e non può essere diversamente, un’incessante ricerca di felicità. Gesù contesta i nostri miti ricorrenti: il mito della ricchezza come fonte di felicità, il mito del profitto come regola di vita, del conto bancario come sicurezza del domani.

Quel ricco, prigioniero del suo “io” ripete un unico aggettivo: “il mio raccolto, i miei granai, i miei beni, la mia anima”; vive ossessionato dal “mio” e nessun’altro affetto trova posto in quella vita desolata, vissuta in prossimità della morte: “Questa notte stessa ti sarà chiesta la tua vita”.

La sentenza di Gesù è precisa: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”.

Diciamo e sentiamo continuamente dire che non l’avere, ma l’essere qualifica una persona e di questo siamo tutti più che convinti. Ma è questo “essere” che spesso resta vuoto e che va riempito, altrimenti è solo “apparire”. Essere intelligente, essere operoso e giusto, essere importante e lasciare una memoria, essere dei signori e non tanto dei ricchi ... è tutto un “essere buono”, ma non sufficiente se è solo un darsi da fare per far credere di essere: il nostro avere e il nostro fare qualificheranno pienamente il nostro “essere” solo se sarà un arricchirsi davanti a Dio.

Purtroppo la ricchezza porta più facilmente a soddisfare “quella parte di noi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quell’avarizia insaziabile che è idolatria” e , per denaro, vediamo quante tragedie sociali si producono: tangentopoli, illegalità, mafia, stragi...!

Il cristiano non è fuori dalla storia e, quindi, non è esente da queste realtà. Dai criteri evangelici la Chiesa ha saputo trarre una precisa e illuminante dottrina sociale per quel che concerne il retto uso dei beni economici con documenti come l’enciclica “Centesimus Annus”. Ma al di là dei documenti sta un fatto di base: il mondo non si cambia con regole nuove, ma col cuore nuovo e, quindi, con uomini nuovi, rinnovati dalla Grazia di Cristo. Ce lo dice san Paolo: “ vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato “. Come a dire: tocca proprio a noi cristiani per primi a impegnarci a trasformare il mondo.

Anche il monito del vangelo è esplicito: bisogna guardarsi dalla cupidigia, dalla mania del possedere sempre di più, quasi a mettere una garanzia, un’assicurazione sulla vita per i beni che si possiedono. Il vivere ed arrivare al giorno di domani sta solo nelle possibilità e nelle mani di Dio e per quanto ci vogliamo dare da fare, non possiamo prolungare neppure per un attimo ciò che è stabilito dall’eternità per ciascuno di noi e che solo Dio conosce e solo Dio decide per amore.

Il cristiano vola alto, il vero discepolo del Cristo risorto sa discernere il bene dal male, il vizio dalla virtù, la bontà dalla cattiveria, la libertà dalla schiavitù.

 

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