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Riflessione sul Vangelo Festivo

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

3 Gennaio 2010 - II Domenica dopo Natale

Pubblicato: lunedì 28 dicembre 2009

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

Si sente ancora, in questi primi giorni dell’anno, il clima di Natale, appena celebrato. Anche la liturgia mantiene questa prerogativa e ripropone la lettura del primo capitolo del Vangelo di Giovanni. Una pagina stupenda, teologica e lirica, quasi una sintesi della nostra fede nel Verbo, venuto in mezzo a noi.

Il Vangelo di Giovanni inizia con la misteriosa espressione “In principio” per ricordarci che il nostro essere, e non solo la nostra storia, è indissolubilmente legata all’Autore della vita. Pare quasi che l’evangelista voglia ricondurci alle origini per ricordarci l’atto creativo di Dio, le nostre origini nell’amore e la continuità nel tempo di quell’amore, che raggiunge il suo culmine proprio con l’incarnazione del Verbo.

Vogliamo chiederci: Qual è stato il nostro principio? Dove è fondata la nostra quotidiana storia? Qual è l’origine del nostro cammino?

Queste domande oggi suscitano in noi risposte poco positive: la nostra vita ci appare spesso così segnata dal male e dalla sofferenza tanto che ci risulta difficile immaginare un inizio buono, un principio bello. Non a caso la stessa Scrittura, nel racconto della Genesi, mette all’inizio della storia umana il gesto cattivo e disobbediente di Adamo ed Eva, gesto che fin dal principio compromette la loro vita. E certamente questo antico racconto la dice lunga sulla serietà del male che segna e rovina il cammino di ogni uomo e di ogni donna.

Ma il Natale di Gesù che abbiamo appena celebrato ci dice che l’inizio, il principio, è un altro: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste”. All’inizio, al principio, non c’è il male, il peccato, la sofferenza. All’inizio, al principio, c’è il Verbo, la Parola che si è fatta carne, quella Parola che è Gesù di Nazareth. All’inizio, al principio, non c’è il male, ma c’è la tenerezza fedele di Dio.

Per vedere questa tenerezza di Dio lo sguardo deve andare avanti, deve andare dal principio alla fine della storia di Gesù, dal Natale di Betlemme alla Pasqua di morte e risurrezione. Là, alla fine, sotto la croce, potremo vedere infatti come, nonostante la morte inflitta dagli uomini, nonostante le atroci sofferenze, nonostante il buio fitto, nonostante tutto, la tenerezza di Dio, quella tenerezza che stava al principio, non si è spenta. Là, alla fine, sotto la croce, potremo vedere la verità del principio, perché là il Figlio non viene abbandonato alla morte, ma può abbandonarsi fiducioso nelle braccia buone del Padre, anche se è buio, e il Padre stesso sembra, ma appunto soltanto sembra, lontano.

Dal giorno della venuta del Verbo tra noi l’umanità si è divisa. Chi lo ha rifiutato è rimasto nelle tenebre e nell’ombra di morte. “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome. I quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.

La salvezza è, insieme, una grazia e una conquista; poiché la fede è un dono che si può accogliere o rifiutare. È sempre in gioco la nostra libertà che deve fare una scelta. L’annuncio del Vangelo, che la Chiesa continua nel mondo, è una proposta di verità e di salvezza. Sta a ciascuno di noi accettarlo o respingerlo. Di fatto, senza la fede non c’è salvezza, poiché per essere “generati da Dio” è necessaria la fede con il battesimo. Una fede convinta ed adulta, che sia in grado di illuminare le nostre azioni, e renderle conformi alla volontà del Padre, di cui il Figlio ha dato testimonianza.

A chi accoglie la luce Dio dona il potere di diventare figlio di Dio.

Se abbiamo accolto la Luce siamo figli di Dio e non ci importa di essere altro. Né premio Nobel, né grandi star, siamo già tutto ciò che potremmo desiderare.

Dopo il Natale di Gesù, dunque, viene il nostro natale: “a quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Sintesi estrema del Vangelo: per questo è venuto, è stato crocifisso ed è risorto. Ci troviamo proiettati nel centro incandescente di tutto ciò che è accaduto e che avverrà. C’è un potere in noi, non una semplice possibilità, ma di più, un’energia: diventare figli di Dio.

Come si diventa figli? In tutte le Sacre Scritture figlio è colui che continua la vita del padre, gli assomiglia, si comporta come Dio: nell’amore offerto, nel pane donato, nel perdono mai negato.

Il Padre genera e comunica vita. Figli si diventa quando si sollecita negli altri le sorgenti della vita; quando si ridesta luce e calore, si genera pace e alleanza, si ridona speranza.

Solo che corriamo dietro a mille sogni e a mille chimere pur di ricevere compiacimenti e approvazione. Ma siamo già figli. Solo che non lo sappiamo o non lo viviamo. Natale è la presa di coscienza del nostro essere figli, della nostra dignità.

Il dramma è che noi non rifiutiamo Dio, ma neppure lo accogliamo. Rimaniamo a mezza strada, perché sappiamo che Dio sconvolgerebbe la nostra vita, non ci lascerebbe indenni.

Diceva sant’Ambrogio: «Ma se Dio fosse nato anche mille volte a Betlemme, ma non nasce in me, allora è nato invano». “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. Se così accade per noi allora non c’è molto da celebrare a natale, ma da convertirsi e pentirsi. Se così è, Natale è un dramma: Dio viene e l’uomo non c’è. Pochi se ne accorgono, ancora meno lo accolgono: Maria e il suo sposo giuseppe, i pastori, i magi, Simeone e Anna la profetessa. E noi possiamo inserirci in  quest’elenco?.

Mentre nella vecchia traduzione si leggeva: “la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”, nella nuova versione, c’è una splendida sfumatura: “luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta”. Si sottolinea, cioè, non il rifiuto delle tenebre, ma l’ostinazione e la forza della luce. Dio insiste, Dio non si da per vinto, Dio esagera, alza il tiro, offre una soluzione, si dona ancora e per sempre.

È un messaggio di grande speranza rivolto a tutti, è come se ci dicesse:

«A te che sei nelle tenebre della depressione: le tenebre non vincono.

A te che sei travolto dalla fatica e dall’incomprensione: le tenebre non vincono.

Fratelli che cercate di portare un minimo di logica evangelica posti di lavoro, nelle scuole … passando per fessi: le tenebre non vincono.

Missionari della Parola che portate la logica della pace e della dignità umana nelle discariche del mondo dimenticate da tutti: le tenebre non vincono».

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