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Riflessione sulle Letture Festive

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

8 Agosto 2010 - XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Pubblicato: giovedì 5 agosto 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

Il Vangelo di questa XIX Domenica del T.O. inizia con queste bellissime parole di consolazione: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno".

La venuta del Regno è il cuore della predicazione di Gesù che affida, ai suoi discepoli, la grande missione di continuare ad annunciarlo nonostante sia un "piccolo gregge".

Alle parole di consolazione fa subito eco una forte esortazione: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina". Se è vero che il Regno di Dio avrà il suo compimento definitivo alla fine dei tempi, quando il Giudice tornerà per rendere a ciascuno secondo i suoi meriti, è pur vero che è una realtà presente e operante nella storia già dall'incarnazione del Verbo ed è questa presenza che ci consente di pregustare la stessa vita di Dio e vivere già adesso il Regno di Dio ogni volta che compiamo opere d'amore concreto e sincero verso il prossimo.

Quando, infatti, ci doniamo con gioia e generosità ai fratelli, non solo compiamo la volontà di Dio, ma ci introduciamo nella dimensione dell'Amore Eterno e, in quest'Amore, troviamo l'origine del desiderio di realizzare, per i fratelli, gesti di bontà, da quelli più piccoli a quelli più grandi. Non importa se potremo donare al prossimo un intero capitale o un solo bicchiere d'acqua o condividere un pezzo di pane: quello che conta è che sia fatto con amore.

Gesù ci esorta a fare gesti d'amore che ci procurano "… borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore". Con questa esortazione, ripresa da una tradizione biblica che era solita considerare le opere buone come tesori conservati nei cieli, Gesù vuole fare maturare in noi la convinzione che a differenza dei beni terreni che si possono perdere, i tesori celesti non corrono alcun pericolo. Un antico detto ebraico, a cui forse Gesù stava pensando in quel momento, recita così: «i miei padri hanno accumulato tesori per sotto, e io ho accumulato tesori per sopra... I miei padri hanno accumulato tesori che non fruttano alcun interesse, ed io ho accumulato tesori che fruttano interessi». Quello che ci chiede Gesù è un modo di ragionare diametralmente opposto a quello a cui siamo abituati che è, poi, quello dell'uomo ricco del Vangelo di domenica scorsa sorpreso dalla morte mentre pensava a come godersi i suoi guadagni.

Come Abramo, noi cristiani, dobbiamo avere la convinzione di vivere in questo mondo come "stranieri e pellegrini", perché ricerchiamo un'altra patria: "la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso" come ci ha detto la II Lettura. Dobbiamo considerare la vita come se fossimo "nel mezzo della notte o prima dell’alba", un tempo, cioè, durante il quale siamo chiamati a vegliare nell'attesa del nuovo giorno, definitivo ed eterno, che sarà il Paradiso che non sappiamo quando arriverà: "Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese. Il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate".

Un'attesa che, però, non è incrociare le braccia e starsene ad aspettare passivamente il ritorno di Gesù. Secondo il Vangelo l'attesa del Signore deve essere attiva e costruttiva: dobbiamo, cioè, imparare a spogliarci di tutto ciò che non è essenziale e compiere fedelmente giorno per giorno il nostro dovere di figli di Dio che aspettano e realizzano il Regno; dobbiamo riconoscere Cristo nell'abito del povero, nel dolore degli ammalati, nel volto dei carcerati, nello smarrimento dei profughi, negli occhi spenti dei bambini abbandonati o abusati, nella persona di tutti i fratelli, specialmente dei più bisognosi.

Un'attesa vigile e intelligente che non ci crei l'illusione di poterci salvare perché: "non faccio del male a nessuno, non ammazzo, non rubo, prego tutti i giorni …"; ma un'attesa nella quale si comprenda quale sia il giusto comportamento nei confronti di Dio e del prossimo: carità generosa.

Un'attesa serena e fiduciosa che ci permetta di prepararci all'incontro con il Signore che conosce le nostre debolezze e i nostri difetti perché sa di quale pasta siamo fatti. Un'attesa, quindi,  caratterizzata dalla serenità, dalla pace interiore, dalla speranza e dalla fiducia, non dalla diffidenza e dalla paura, perché Colui che aspettiamo e che  ci viene incontro è nostro amico e chi sarà trovato pronto riceverà una stupenda ricompensa: "perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno". Per farci gustare la dolcezza e l'ampiezza di questa ricompensa Gesù usa delle immagini stupende: "Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi". Altro che preoccuparsi dei beni della terra che "i ladri rubano e il tarlo consuma"; ci aspetta il tesoro inesauribile del cielo; siamo chiamati a diventare partecipi della stessa ricchezza di Dio, partecipi della vita Trinitaria e in intimità con Dio: "Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!". La sua gioia, per averci trovati attenti nel servirLo come suoi servi, sarà così incontenibile che si farà Lui stesso servo per servirci alla sua tavola.

Perché non dubitassimo di questa promessa Gesù nell'ultima cena ha lavato i piedi ai discepoli e ci ha dato appuntamento a casa sua: "In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio". Questa promessa si realizza già nella Celebrazione eucaristica dove siamo commensali di Dio come anticipo e pegno del banchetto del cielo. Per questo dobbiamo accostarci degnamente all'Eucaristia, non solo avendo confessato i peccati fatti e, magari, anche il bene non fatto (quanti peccati di omissione non confessiamo!), ma avendo impostato la vita in un atteggiamento di attesa e di servizio. La posta in gioco è alta: rischiamo di essere esclusi dal banchetto eterno.

 

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