Il Vangelo di questa XIX
Domenica del T.O. inizia con queste bellissime parole di
consolazione: "Non temere, piccolo gregge, perché al
Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno".
La venuta del Regno è il
cuore della predicazione di Gesù che affida, ai suoi
discepoli, la grande missione di continuare ad annunciarlo
nonostante sia un "piccolo gregge".
Alle parole di consolazione
fa subito eco una forte esortazione: "Vendete ciò che
avete e datelo in elemosina". Se è vero che il Regno di
Dio avrà il suo compimento definitivo alla fine dei tempi,
quando il Giudice tornerà per rendere a ciascuno secondo i
suoi meriti, è pur vero che è una realtà presente e operante
nella storia già dall'incarnazione del Verbo ed è questa
presenza che ci consente di pregustare la stessa vita di Dio
e vivere già adesso il Regno di Dio ogni volta che compiamo
opere d'amore concreto e sincero verso il prossimo.
Quando, infatti, ci doniamo
con gioia e generosità ai fratelli, non solo compiamo la
volontà di Dio, ma ci introduciamo nella dimensione
dell'Amore Eterno e, in quest'Amore, troviamo l'origine del
desiderio di realizzare, per i fratelli, gesti di bontà, da
quelli più piccoli a quelli più grandi. Non importa se
potremo donare al prossimo un intero capitale o un solo
bicchiere d'acqua o condividere un pezzo di pane: quello che
conta è che sia fatto con amore.
Gesù ci esorta a fare gesti
d'amore che ci procurano "… borse che non invecchiano, un
tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non
consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il
vostro cuore". Con questa esortazione, ripresa da una
tradizione biblica che era solita considerare le opere buone
come tesori conservati nei cieli, Gesù vuole fare maturare
in noi la convinzione che a differenza dei beni terreni che
si possono perdere, i tesori celesti non corrono alcun
pericolo. Un antico detto ebraico, a cui forse Gesù stava
pensando in quel momento, recita così: «i miei padri hanno
accumulato tesori per sotto, e io ho accumulato tesori per
sopra... I miei padri hanno accumulato tesori che non
fruttano alcun interesse, ed io ho accumulato tesori che
fruttano interessi». Quello che ci chiede Gesù è un modo di
ragionare diametralmente opposto a quello a cui siamo
abituati che è, poi, quello dell'uomo ricco del Vangelo di
domenica scorsa sorpreso dalla morte mentre pensava a come
godersi i suoi guadagni.
Come Abramo, noi cristiani, dobbiamo avere la
convinzione di vivere in questo mondo come "stranieri e
pellegrini", perché ricerchiamo un'altra patria: "la
città dalle salde fondamenta, il cui architetto e
costruttore è Dio stesso"
come ci ha detto la II Lettura. Dobbiamo considerare la vita
come se fossimo "nel
mezzo della notte o prima dell’alba",
un tempo, cioè, durante il quale siamo chiamati a vegliare
nell'attesa del nuovo giorno, definitivo ed eterno, che sarà
il Paradiso che non sappiamo quando arriverà: "Siate
pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese. Il
Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate".
Un'attesa che, però, non è
incrociare le braccia e starsene ad aspettare passivamente
il ritorno di Gesù. Secondo il Vangelo l'attesa del Signore
deve essere attiva e costruttiva: dobbiamo, cioè, imparare a
spogliarci di tutto ciò che non è essenziale e compiere
fedelmente giorno per giorno il nostro dovere di figli di
Dio che aspettano e realizzano il Regno; dobbiamo
riconoscere Cristo nell'abito del povero, nel dolore degli
ammalati, nel volto dei carcerati, nello smarrimento dei
profughi, negli occhi spenti dei bambini abbandonati o
abusati, nella persona di tutti i fratelli, specialmente dei
più bisognosi.
Un'attesa vigile e
intelligente che non ci crei l'illusione di poterci salvare
perché: "non faccio del male a nessuno, non ammazzo, non
rubo, prego tutti i giorni …"; ma un'attesa nella quale si
comprenda quale sia il giusto comportamento nei confronti di
Dio e del prossimo: carità generosa.
Un'attesa serena e fiduciosa
che ci permetta di prepararci all'incontro con il Signore
che conosce le nostre debolezze e i nostri difetti perché sa
di quale pasta siamo fatti. Un'attesa, quindi,
caratterizzata dalla serenità, dalla pace interiore, dalla
speranza e dalla fiducia, non dalla diffidenza e dalla
paura, perché Colui che aspettiamo e che ci viene incontro
è nostro amico e chi sarà trovato pronto riceverà una
stupenda ricompensa: "perché al Padre vostro è piaciuto
dare a voi il Regno". Per farci gustare la dolcezza e
l'ampiezza di questa ricompensa Gesù usa delle immagini
stupende: "Beato quel servo che il padrone, arrivando,
troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo
di tutti i suoi averi". Altro che preoccuparsi dei beni
della terra che "i ladri rubano e il tarlo consuma";
ci aspetta il tesoro inesauribile del cielo; siamo chiamati
a diventare partecipi della stessa ricchezza di Dio,
partecipi della vita Trinitaria e in intimità con Dio: "Beati
quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora
svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai
fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E
se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li
troverà così, beati loro!". La sua gioia, per averci
trovati attenti nel servirLo come suoi servi, sarà così
incontenibile che si farà Lui stesso servo per servirci alla
sua tavola.