Anche in questa domenica la Chiesa celebra una "Domenica di
Pasqua"; per altre cinque domeniche la liturgia usa questa
denominazione, dalla quale si comprende quanto sia grande la
ricchezza del Mistero di Cristo e della sua Resurrezione, la
cui contemplazione e conoscenza, non può esaurirsi nella
celebrazione di un solo giorno; ma è necessario un intero
arco di tempo ed ecco così il "Tempo di Pasqua".
Il Vangelo di questa II Domenica del tempo di Pasqua ci
porta alla sera della Domenica di Pasqua; un riferimento
all'antica prassi cristiana di celebrare l'Eucaristia nel
giorno del Signore, sull'imbrunire. Per i giudei già era
iniziato un nuovo giorno, mentre per Giovanni è ancora il
giorno della Resurrezione, il nuovo tempo inaugurato dalla
vittoria di Gesù sulla morte. Siamo,dunque, in un contesto
eucaristico. Le porte chiuse denotano, da una parte, la
paura dei discepoli e, dall'altra, il nuovo stato di Gesù,
per il quale non ci sono più barriere.
Nelle comunità cristiane del primo secolo era presente un
malinteso: i testimoni oculari starebbero su un livello
superiore rispetto a chi non vide il Signore Risorto. Sembra
che l'episodio di Tommaso voglia chiarire questo. Tommaso
aveva vissuto con Gesù, prima della passione: l'importante
non è aver vissuto con Gesù prima della sua morte, bensì
vivere la vita che nasce dalla sua Resurrezione, assumendo
il progetto di Dio come scelta personale. Nonostante la
buona volontà di Tommaso (11,16 "andiamo anche a noi a
morire con lui"), egli non aveva fatto l'esperienza del
Cristo vivo, nemmeno ricevette lo Spirito (cfr. v. 24).
Contrariamente a quanto facevano i convertiti, non accetta
la testimonianza dei discepoli; la sua fede è ancora debole:
non nasce dall'esperienza d’amore della comunità, ma dipende
da segni straordinari.
Quando i dieci gli riferiscono: "Abbiamo visto il
Signore!", Tommaso, non solo è scettico, ma li fredda
con la sua risposta: "Se non vedo nelle sue mani il segno
dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non
crederò". Dice subito: “se non vedo”. Poi aggiunge,
considerando che anche gli occhi possono tradire, una prova
fisica anche un po' brutale: mettere il dito nel foro dei
chiodi e la mano nello squarcio fatto nel petto. Tommaso non
accetta il Vangelo dei dieci e resta, seppure con le sue
ragioni, triste e senza speranza.
Narra un'antica leggenda che la mano destra di Tommaso
rimase, sino alla sua morte, rossa di sangue. Il Signore,
quasi raccogliendo la nostra poca fede, esorta ognuno di
noi, come fece con Tommaso, a sporcarci le mani nelle ferite
degli uomini, ad accostarci alle situazioni martoriate e
abbandonate: la nostra incredulità è presa dal Signore e
trasformata in amicizia e fonte di pace.
Il caso di Tommaso è una specie di drammatizzazione della
difficoltà di credere nella Resurrezione. Egli poteva dare
credito alla testimonianza degli amici che "avevano visto
il Signore" e attendere, semmai, una personale conferma!
In ogni caso, un merito Tommaso l'ha avuto: pur incredulo
non ha abbandonato i discepoli, ha accettato di rientrare
nel gruppo, di rimanere con loro, di aspettare con loro: "C'era
con loro anche Tommaso".
Il Risorto concede a Tommaso l'esperienza di un segno così
marcato, non isolatamente ma in seno alla comunità dei
discepoli, ancora una volta riuniti di "domenica".
L'assemblea eucaristica domenicale appare, dunque, il luogo
e il tempo privilegiato della presenza e del riconoscimento
del Signore. «Il gruppo dei discepoli viene costituito in
Chiesa dall'apparizione del Risorto, dal suo mandato
missionario e dalla comunicazione dello Spirito. La vita
pasquale si può vivere solo ecclesialmente» (H. Schurmann).
Colpisce il fatto che Gesù abbia istituito il sacramento
della riconciliazione nel giorno della festa e della gioia
più grande. Come deve cambiare allora il nostro concetto di
confessione! Noi la sentiamo come una cosa difficile,
triste, severa; sentiamo più il peso dei peccati che la
tenerezza di Dio. Dobbiamo imparare a viverla e ad
accoglierla come la grazia e la gioia vera della Pasqua: e
allora porterà frutto, perché ci uniremo sempre più a Gesù e
la potenza della sua Resurrezione un po' alla volta vincerà
il male in noi e attorno a noi. La Chiesa non è la comunità
dei perfetti che non peccano mai: non è questa la vera
immagine di Chiesa. La Chiesa è cosciente della debolezza
dei suoi figli. Ma proprio a questa Chiesa formata da povera
gente, sacerdoti e laici, Gesù dice: "Come il Padre ha
mandato me, così io mando voi...". Eppure nel Cenacolo
c'era il posto vuoto di Giuda; Pietro aveva ancora gli occhi
umidi per le lacrime versate dopo il rinnegamento, tutti gli
altri erano dispiaciuti perché lo avevano abbandonato...: ma
Dio non ha paura della povertà degli uomini, perché Lui è
venuto a redimerla, è venuto proprio per togliere i peccati,
è venuto per darci la vera gioia di essere figli di Dio e la
dignità di essere collaboratori del suo Regno.
Ma per essere disponibili a chiedere perdono e a dare
perdono è necessaria tanta umiltà: e l'umiltà è la via della
pace. Una pace che non è senza dolore, senza prove, senza
momenti di angoscia, ma che regna sovrana sopra quanto
sperimentiamo ogni giorno. Essa si ottiene proseguendo a far
"regnare" Cristo nella nostra vita, a tenere "lo sguardo"
fisico, spirituale e contemplativo su di Lui.
La pace interiore fiorisce nella gioia. La "sobria gioia"
del cristiano non si trova cercandola direttamente perché la
gioia non è una virtù, ma “l’effetto di una virtù": Viene,
cioè, da un'altra cosa: la carità. "La gioia è un effetto
della carità": solo chi ama e ama cristianamente ha gioia.
Sentendoci amati da Dio, sentendo intorno a noi la carità
abbiamo l'avvio a vivere nella gioia, e "amando come Dio
ama" la gusteremo intensamente.
Oggi tanta gente forse assomiglia a Tommaso, fa fatica a
credere, si lascia confondere dai propri istinti o dalla
mentalità mondana e noi ne soffriamo: vorremmo che Gesù
venisse a toglierci dalle difficoltà, presentando i segni
dei Suoi chiodi agli increduli di oggi. Invece no. Gesù ha
lasciato noi: Egli vuole che la sua Resurrezione si veda
attraverso la nostra vita, la nostra fede, le nostre opere,
"i nostri chiodi". La fede ha bisogno di testimonianza, la
fede ha bisogno di esempi. E noi siamo un esempio per
aiutare e incoraggiare chi cerca il Signore? Rinnoviamo la
grazia della Pasqua: contempliamo il volto di Gesù Risorto,
accogliamo la sua pace, il dono della riconciliazione,
imploriamo una fede grande ("non essere più incredulo, ma
credente"), impegniamoci nelle opere buone della vita
cristiana, per aiutare tanti altri nel cammino dal dubbio
alla fede.
Alla fine Tommaso si arrende, e non è scritto che abbia
toccato il corpo del Risorto, si arrende non al toccare, ma
a Cristo che si fa incontro; si arrende non ai suoi sensi,
ma alla pace, la prima parola che da otto giorni accompagna
il Risorto e che ora dilaga: Pace a voi! Non un augurio, non
una semplice promessa, ma una affermazione: la pace è qui, è
in voi, è iniziata.
È notevole la professione di fede di Tommaso che, illuminato
dalla fede, non solo riconosce che Gesù è veramente risorto,
ma lo proclama suo Dio.
Si, Gesù Cristo è il nostro Dio e questa fede è dono della
Pasqua, che è vita, che è luce, che è speranza.
Dall' esperienza interiore di questo Mistero, fondamento sul
quale poggia la nostra fede, nessuno è escluso; Cristo
attende ogni uomo, in un tempo o in una particolare
situazione, che Lui solo conosce, per rivelarsi alla
coscienza di ognuno, anche del più lontano, del più restio
ad arrendersi al dono di grazia che è la fede nel Figlio di
Dio, il Redentore che, nel cammino della vita, si fa
compagno, amico e fratello, per condurci fino allo splendore
della visione, che non avrà più ombre e non avrà mai fine.