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Riflessione sulle Letture Festive

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

11 Aprile 2010 - II Domenica di Pasqua (Anno C)

Pubblicato: mercoledì 7 aprirle  2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

Anche in questa domenica la Chiesa celebra una "Domenica di Pasqua"; per altre cinque domeniche la liturgia usa questa denominazione, dalla quale si comprende quanto sia grande la ricchezza del Mistero di Cristo e della sua Resurrezione, la cui contemplazione e conoscenza, non può esaurirsi nella celebrazione di un solo giorno; ma è necessario un intero arco di tempo ed ecco così il "Tempo di Pasqua".

Il Vangelo di questa II Domenica del tempo di Pasqua ci porta alla sera della Domenica di Pasqua; un riferimento all'antica prassi cristiana di celebrare l'Eucaristia nel giorno del Signore, sull'imbrunire. Per i giudei già era iniziato un nuovo giorno, mentre per Giovanni è ancora il giorno della Resurrezione, il nuovo tempo inaugurato dalla vittoria di Gesù sulla morte. Siamo,dunque, in un contesto eucaristico. Le porte chiuse denotano, da una parte, la paura dei discepoli e, dall'altra, il nuovo stato di Gesù, per il quale non ci sono più barriere.

Nelle comunità cristiane del primo secolo era presente un malinteso: i testimoni oculari starebbero su un livello superiore rispetto a chi non vide il Signore Risorto. Sembra che l'episodio di Tommaso voglia chiarire questo. Tommaso aveva vissuto con Gesù, prima della passione: l'importante non è aver vissuto con Gesù prima della sua morte, bensì vivere la vita che nasce dalla sua Resurrezione, assumendo il progetto di Dio come scelta personale. Nonostante la buona volontà di Tommaso (11,16 "andiamo anche a noi a morire con lui"), egli non aveva fatto l'esperienza del Cristo vivo, nemmeno ricevette lo Spirito (cfr. v. 24). Contrariamente a quanto facevano i convertiti, non accetta la testimonianza dei discepoli; la sua fede è ancora debole: non nasce dall'esperienza d’amore della comunità, ma dipende da segni straordinari.

Quando i dieci gli riferiscono: "Abbiamo visto il Signore!", Tommaso, non solo è scettico, ma li fredda con la sua risposta: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". Dice subito: “se non vedo”. Poi aggiunge, considerando che anche gli occhi possono tradire, una prova fisica anche un po' brutale: mettere il dito nel foro dei chiodi e la mano nello squarcio fatto nel petto. Tommaso non accetta il Vangelo dei dieci e resta, seppure con le sue ragioni, triste e senza speranza.

Narra un'antica leggenda che la mano destra di Tommaso rimase, sino alla sua morte, rossa di sangue. Il Signore, quasi raccogliendo la nostra poca fede, esorta ognuno di noi, come fece con Tommaso, a sporcarci le mani nelle ferite degli uomini, ad accostarci alle situazioni martoriate e abbandonate: la nostra incredulità è presa dal Signore e trasformata in amicizia e fonte di pace.

Il caso di Tommaso è una specie di drammatizzazione della difficoltà di credere nella Resurrezione. Egli poteva dare credito alla testimonianza degli amici che "avevano visto il Signore" e attendere, semmai, una personale conferma! In ogni caso, un merito Tommaso l'ha avuto: pur incredulo non ha abbandonato i discepoli, ha accettato di rientrare nel gruppo, di rimanere con loro, di aspettare con loro: "C'era con loro anche Tommaso".

Il Risorto concede a Tommaso l'esperienza di un segno così marcato, non isolatamente ma in seno alla comunità dei discepoli, ancora una volta riuniti di "domenica". L'assemblea eucaristica domenicale appare, dunque, il luogo e il tempo privilegiato della presenza e del riconoscimento del Signore. «Il gruppo dei discepoli viene costituito in Chiesa dall'apparizione del Risorto, dal suo mandato missionario e dalla comunicazione dello Spirito. La vita pasquale si può vivere solo ecclesialmente» (H. Schurmann).

Colpisce il fatto che Gesù abbia istituito il sacramento della riconciliazione nel giorno della festa e della gioia più grande. Come deve cambiare allora il nostro concetto di confessione! Noi la sentiamo come una cosa difficile, triste, severa; sentiamo più il peso dei peccati che la tenerezza di Dio. Dobbiamo imparare a viverla e ad accoglierla come la grazia e la gioia vera della Pasqua: e allora porterà frutto, perché ci uniremo sempre più a Gesù e la potenza della sua Resurrezione un po' alla volta vincerà il male in noi e attorno a noi. La Chiesa non è la comunità dei perfetti che non peccano mai: non è questa la vera immagine di Chiesa. La Chiesa è cosciente della debolezza dei suoi figli. Ma proprio a questa Chiesa formata da povera gente, sacerdoti e laici, Gesù dice: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi...". Eppure nel Cenacolo c'era il posto vuoto di Giuda; Pietro aveva ancora gli occhi umidi per le lacrime versate dopo il rinnegamento, tutti gli altri erano dispiaciuti perché lo avevano abbandonato...: ma Dio non ha paura della povertà degli uomini, perché Lui è venuto a redimerla, è venuto proprio per togliere i peccati, è venuto per darci la vera gioia di essere figli di Dio e la dignità di essere collaboratori del suo Regno.

Ma per essere disponibili a chiedere perdono e a dare perdono è necessaria tanta umiltà: e l'umiltà è la via della pace. Una pace che non è senza dolore, senza prove, senza momenti di angoscia, ma che regna sovrana sopra quanto sperimentiamo ogni giorno. Essa si ottiene proseguendo a far "regnare" Cristo nella nostra vita, a tenere "lo sguardo" fisico, spirituale e contemplativo su di Lui.

La pace interiore fiorisce nella gioia. La "sobria gioia" del cristiano non si trova cercandola direttamente perché la gioia non è una virtù, ma “l’effetto di una virtù": Viene, cioè, da un'altra cosa: la carità. "La gioia è un effetto della carità": solo chi ama e ama cristianamente ha gioia.

Sentendoci amati da Dio, sentendo intorno a noi la carità abbiamo l'avvio a vivere nella gioia, e "amando come Dio ama" la gusteremo intensamente.

Oggi tanta gente forse assomiglia a Tommaso, fa fatica a credere, si lascia confondere dai propri istinti o dalla mentalità mondana e noi ne soffriamo: vorremmo che Gesù venisse a toglierci dalle difficoltà, presentando i segni dei Suoi chiodi agli increduli di oggi. Invece no. Gesù ha lasciato noi: Egli vuole che la sua Resurrezione si veda attraverso la nostra vita, la nostra fede, le nostre opere, "i nostri chiodi". La fede ha bisogno di testimonianza, la fede ha bisogno di esempi. E noi siamo un esempio per aiutare e incoraggiare chi cerca il Signore? Rinnoviamo la grazia della Pasqua: contempliamo il volto di Gesù Risorto, accogliamo la sua pace, il dono della riconciliazione, imploriamo una fede grande ("non essere più incredulo, ma credente"), impegniamoci nelle opere buone della vita cristiana, per aiutare tanti altri nel cammino dal dubbio alla fede.

Alla fine Tommaso si arrende, e non è scritto che abbia toccato il corpo del Risorto, si arrende non al toccare, ma a Cristo che si fa incontro; si arrende non ai suoi sensi, ma alla pace, la prima parola che da otto giorni accompagna il Risorto e che ora dilaga: Pace a voi! Non un augurio, non una semplice promessa, ma una affermazione: la pace è qui, è in voi, è iniziata.

È notevole la professione di fede di Tommaso che, illuminato dalla fede, non solo riconosce che Gesù è veramente risorto, ma lo proclama suo Dio.

Si, Gesù Cristo è il nostro Dio e questa fede è dono della Pasqua, che è vita, che è luce, che è speranza.

Dall' esperienza interiore di questo Mistero, fondamento sul quale poggia la nostra fede, nessuno è escluso; Cristo attende ogni uomo, in un tempo o in una particolare situazione, che Lui solo conosce, per rivelarsi alla coscienza di ognuno, anche del più lontano, del più restio ad arrendersi al dono di grazia che è la fede nel Figlio di Dio, il Redentore che, nel cammino della vita, si fa compagno, amico e fratello, per condurci fino allo splendore della visione, che non avrà più ombre e non avrà mai fine.

 

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