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Riflessione sul Vangelo Festivo

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

31 Gennaio 2010 - IV Domenica del tempo Ordinario (Anno C)

Pubblicato: domenica 24 gennaio 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

il passo del Vangelo di questa quarta domenica si conclude con queste parole “... passando in mezzo a loro, se ne andò...”: è una conclusione sconcertante perché il Figlio di Dio si è incarnato per incontrare l’uomo e non per allontanarsi da lui.

Il Gesù che vediamo nel Vangelo di questa domenica è un uomo pienamente libero della paura di fronte agli altri: sapeva di essere il Figlio prediletto di Dio, mandato da Lui tra noi per compiere la sua volontà che è salvezza per noi. E questa consapevolezza gli dava la libertà di parlare e di agire senza dover compiacere il mondo, gli dava anche il potere di rispondere alle sofferenze della gente con l’amore sanante di Dio. E quanti lo ascoltavano “rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”.

Eppure è stato respinto proprio da coloro a cui era stato mandato, perché le sue parole erano scomode, proponevano la fatica del cambiamento di orientamento per un nuovo cammino.

Comunque non succede nulla di strano, visto che Gesù viene accolto e ascoltato esattamente come farebbe la maggior parte dei fedeli del nostro secolo, ossia con la denominazione che si ripete anche in questa domenica di “Figlio di Giuseppe”, cioè, lo si accoglie con fare prettamente umano, per cui si rifiuta di lui il Messia Salvatore e il suo messaggio di salvezza, si respinge ogni impegno e fatica che la fede in lui debba comportare e si trova ogni pretesto per non applicare nel quotidiano quanto lui ci suggerisce. Di Gesù si accoglie, insomma, il solo dato esteriore e promettente nell’immediato e lo si accetta secondo le aspettative e le volontà personali.

Un Gesù che proponga sé stesso così com’è, senza condizionarsi né sottomettersi ai gusti della gente è molto difficile da accettare, come pure è molto difficile proporlo e predicarlo.

Il maestro Gesù, come ogni oratore, percepisce quale sia l’atteggiamento di chi ascolta, così Gesù, al termine delle sue parole, avverte che l’umore delle persone, nella sinagoga, sta cambiando, sente che, dall’iniziale stupore, si è passati allo scetticismo, e poi allo sdegno nei suoi confronti, come una rabbia crescente, che emerge nelle parole: “Si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio”.

Il Figlio di Dio, parlando alla sua gente, non aveva trovato una fede viva e sincera, quella fede che Egli stesso loda in persone come la vedova di Zarepta, che accolse e diede soccorso al profeta Elia, perché uomo di Dio, o Naaman il Siro che, sulla parola del profeta Eliseo, si bagnò nel fiume Giordano e fu miracolosamente risanato dalla lebbra. I nazareni non riescono ad accettare che quel giovane paesano, di cui conoscevano padre e madre, sia il Messia promesso; essi restano chiusi nella loro incredulità e nella durezza del loro cuore e tentano di eliminare fisicamente Colui che veniva come Salvatore.

È la sorte che, spesso, tocca al profeta, l’uomo chiamato dal Signore, e che parla agli altri uomini con le parole e l’autorità che vengono da Dio, e non dalle limitate risorse umane; un compito che può anche essere esaltante, per la nobiltà dei contenuti ma che, concretamente, si traduce in un rischio, come si può ben desumere dal passo del profeta Geremia, che leggiamo in questa domenica.

Un profeta che non sarà accolto: è già inscritto nella sua chiamata il fatto che egli dovrà combattere praticamente contro tutti: re, principi, sacerdoti, popolo; nessuno vorrà accettare il messaggio di Geremia che annunzia il fallimento delle strategie umane per salvarsi dalla minacciosa potenza babilonese. Per reggere questo urto è data a Geremia una sola risorsa: la presenza del Signore: “Io sarò con te

Nel profeta, che Dio consacra e invia, si trova la forza stessa di Dio. Egli quindi non si deprime neppure dinanzi a gravi difficoltà: ha la certezza che non sarà sopraffatto, dal momento che il Signore lo accompagna.

È davvero strano questo Dio, che da un lato invia al mondo e dall’altro mette in conto il rifiuto da parte d’Israele.

Il fatto è che il progetto di Dio non avanza nella storia nel successo umano dell’inviato, ma nel suo fallimento. L’inviato avrà “successo”, ma solo attraverso l’offerta totale di sé.

Viene immediato l’accostamento a Cristo. In effetti, la vicenda di Gesù è per più aspetti analoga a quella di Geremia. San Giovanni, nel prologo del suo Vangelo, dice che “venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11), e il Vangelo di oggi ce lo mostra al vivo.

E ancora oggi, molto spesso, il Cristo non è accolto, ne abbiamo dei chiari segni, anche nella nostra società, nella nostra cultura, che, pure, ha le sue radici nella tradizione e nella fede cristiana: il mondo procede quasi sempre in senso opposto rispetto a quello che la Chiesa predica. Spesso la stessa Chiesa è avversata e resa bersaglio di polemiche e derisioni da parte di chi ha sempre qualche argomento per contestare la Parola di Dio quando dà fastidio.

ogni volta che nella Chiesa qualcuno (noi?) ha il coraggio di proferire la verità del Vangelo è esposto a critiche e ad insinuazioni, e si trova spesso nelle stesse condizioni di Gesù a Nazareth: i presenti si scandalizzano di quanto afferma. Poiché, in effetti, è scandaloso agli occhi di questo mondo, abituato a seguire ben altro linguaggio, proporre la scomoda dottrina del perdono e dell’amore per i nemici, come insegna il Vangelo; come pure è scandaloso proporre la santità di vita e la castità del corpo nell’astinenza dai rapporti prematrimoniali, la continenza perfetta dei giovani, la rinuncia al sesso disordinato e all’uso dei preservativi, la condanna dell’aborto e delle unioni di fatto.

Fondamentalmente, si preferisce una morale e una dottrina religiosa di comodo, che non comporti tante rigidità e rinunce e che ci assecondi nelle sole nostre scelte e preferenze. Piuttosto che accogliere come veritieri determinati insegnamenti si preferirebbe un Cristo capace di “essere medico che curi sé stesso”, ossia che compia anche per noi miracoli gratuitamente e senza sorta di criterio e, magari, prescindendo dai nostri comportamenti, di un Gesù, insomma, usa e getta di cui servirsi solo in caso di necessità immediata.

Tuttavia, l’Evangelista Giovanni nel prologo del suo Vangelo continua così: “a quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome..” (Gv.1,12).

L’identità di quanti desiderano costruire la loro esistenza sul fondamento indistruttibile, che è Cristo, è legata esclusivamente alla fede e a nient’altro, come Paolo insegna: “ora non c’è più Giudeo né Greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, perché, quanti siete battezzati, siete uno, in Cristo Gesù...” (Gal.3,27-28); è Lui il segno dell’altezza e della profondità dell’Amore di Dio, che ha inviato il proprio Figlio, perché ogni uomo fosse salvato.

Ed è proprio l’amore, la carità, il fondamento e il coronamento della vita cristiana; su questa virtù, la liturgia, oggi, ci fa leggere l’insuperabile pagina di Paolo: “l’inno alla carità” la cui ricchezza dottrinale è inestimabile; un testo, che meriterebbe di essere meditato, parola per parola, di esser interiorizzato e assunto come programma di vita: “Fratelli la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta....” (I Cor.13,4)

Non è un percorso semplice e non è sempre facile dilatare il cuore, per superare egoismi e risentimenti, così come non è sempre facile coprire, sopportare e sperare; tuttavia, la grazia di Dio ci soccorre, così che non si spenga la fiamma dell’amore, quell’energia soprannaturale, che anima l’uomo e tutto il creato, riconducendolo alla sua “Sorgente”.

È nella carità che ci si realizza conformi a Cristo; è nella carità, che si fa esperienza di Dio e si entra in comunione con Lui: una comunione che diverrà, poi, eterna beatitudine: “La carità non avrà mai fine. Queste sono le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” (1 Cor. 13,13).

 

 

 

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